Le sanzioni del 2014 e in particolar modo la svalutazione del rublo sono state una doccia fredda per le molte aziende italiane che esportavano in Russia: congelamento degli acquisti, partner storici russi in attesa di vedere cosa stesse accadendo ma soprattutto raddoppio dei prezzi dei propri prodotti per il cliente finale. Per non parlare delle aziende dell’agroalimentare che, dall’oggi al domani, hanno visto chiudere le frontiere ai propri prodotti.
Parallelamente, Mosca ha cercato di consolidare la pratica dell’import substitution (sostituzione delle importazioni dall’estero) e di rafforzare la produzione industriale locale, con l’obiettivo di ridurre le importazioni del 50% entro il 2020. Anzi ha proposto all’Italia la strategia del made in Russia with Italy per spingere le nostre aziende ad andare a produrre in Russia.
Quali sono stati i risultati? Qual è la situazione per gli esportatori italiani a quasi quattro anni dall’imposizione delle sanzioni?
Le risposte sono molteplici e tengono conto delle diverse tipologie produttive delle esportazioni italiane e della nostra nota creatività nel cercare soluzioni ingegnose nelle situazioni di difficoltà. La politica del made in Russia with Italy è di particolare richiamo per le produzioni meccaniche e per l’industria pesante. Sono produzioni dove la tecnologia è standardizzata e che in genere hanno alti costi di trasporto delle merci che spingono alla creazione di unità produttive dislocate all’estero per meglio servire i mercati finali. L’Unione Doganale Euroasiatica ha favorito tale pratica, allargando il bacino dei possibili clienti. Il Gruppo Manni di Verona, per esempio, ha iniziato nel 2015 la produzione di pannelli isolanti a Volgograd dopo un processo di studio e preparazione di alcuni anni. Le aziende che hanno scelto questa strada devono tuttavia fare i conti con il rallentamento dell’economia russa di quest’ultimo periodo che certo non ha accelerato il ritorno del capitale investito.
Secondo dati dell’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane (ICE) di Mosca, tra le 500 imprese italiane stabilmente operanti nella Federazione solo il 20% è presente con un investimento di carattere produttivo. Se nel 2014 vi erano stati 4 nuovi progetti di investimento a capitale italiano, nel 2015 sono passati a 12 e nel 2016 ad un totale di 7, collocando l’Italia al settimo posto per numero di progetti di investimento realizzati in Russia nel 2016 dopo USA, Francia, Giappone, Austria e Cina.
Per i beni italiani di consumo (moda e accessori) e i beni semidurevoli (come l’arredo e le finiture per l’edilizia), la scelta di andare a produrre in Russia non ha riscontrato grande successo. Le motivazioni principali sono duplici: innanzitutto in questi settori il Made in Italy è da considerarsi quasi un brand in se stesso, pertanto non potersi fregiare dell’indicazione d’origine Made in Italy fa perdere un vantaggio competitivo importante. In secondo luogo, molte delle aziende produttrici in questi comparti sono medio-piccole e affrontare l’apertura di un’unità produttiva in Russia è un passo complesso e oneroso.
La soluzione per il commercio di tali beni si è trovata a fatica. La contrazione delle esportazioni è stata importante a causa della svalutazione del rublo che ha costretto la classe media russa – che prima del 2014 poteva permettersi molti prodotti italiani – a rinunciare o a limitare gli acquisti, a favore di prodotti cinesi, turchi e russi. Alcuni produttori italiani hanno dovuto reindirizzare la propria offerta su un livello di prezzo più alto, contraendo gli ordinativi. Un’altra soluzione si è trovata sfruttando l’artigianalità e l’ingegnosità dei produttori italiani che in molti settori sono gli unici a poter offrire soluzioni fortemente personalizzate e di altissima qualità. La centralità del cliente è la chiave vincente per alcune realtà del Nord Est che operano nei settori ufficio e contract come Bifor – pareti in cristallo – e Sitia – sedute imbottite – che offrono un’ampia gamma di soluzioni custom oriented per dare al cliente ciò che non trova da altri concorrenti.
Nel settore del mobile ci sono stati alcuni casi di produttori italiani (Verona Mobili per esempio) che si sono stabiliti nel territorio russo per contenere i costi mantenendo il design italiano, ma il posizionamento del prodotto è risultato medio – basso.
Per il settore agroalimentare si apre un altro capitolo. Alcune delle soluzioni trovate sono border line: per esempio, “passaggi doganali” con cambio d’origine in paesi senza embargo e con accordi commerciali privilegiati (vedi la Serbia o la Bielorussia).
A novembre del 2017 è stato presentato il progetto della costruzione di un polo lattiero-caseario nel distretto di Dmitrovsky – Mosca e gli imprenditori italiani del settore sono stati invitati ad andare a produrre nel nuovo cluster. Si assisterà ad un altro caso simile a quello del Gran Moravia, il formaggio prodotto con successo da un imprenditore italiano in Repubblica Ceca?
“L’annuncio della creazione del nuovo cluster ha certamente destato interesse tra numerose aziende italiane del settore, che ci hanno poi richiesto di effettuare approfondimenti sul progetto” segnala Pier Paolo Celeste, Direttore dell’Agenzia ICE in Russia. “Ad oggi tuttavia non abbiamo ricevuto segnalazioni di concreti sviluppi in termini di investimenti produttivi. Si tratta comunque di decisioni strategiche impegnative che necessitano – anche per le aziende italiane più strutturate – dei necessari tempi di maturazione”.
Il Parmigiano Russo pertanto per ora è solo una fantasia, ma il perdurare delle sanzioni e l’attrattiva del mercato russo potrebbero farci trovare tra qualche anno sugli scaffali dei negozi di Mosca il parmigiano italo – russo.