
Rosstat, l’agenzia statistica di Stato della Federazione Russa, ha pubblicato i dati relativi alla crescita economica del Paese nel 2019. Agli atti è così andata una brusca frenata: 1,3% di crescita del Pil rispetto al 2,5% del 2018. Il risultato peggiore dal 2016, ovvero da quando la Russia uscì da una pesantissima crisi. Da un certo punto di vista il Cremlino si può consolare. Il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale avevano previsto risultati anche peggiori, annunciando che la crescita avrebbe con difficoltà raggiunto l’1%. Più vicine al bersaglio le valutazioni del ministero russo per lo Sviluppo Economico, i cui esperti avevano annunciato un 1,4% appena più tondo.
Il miglioramento, almeno rispetto al pessimismo più diffuso, è quasi interamente dovuto a un colpo di reni durante l’ultimo quadrimestre del 2019 e alle buone performance di alcuni settori tradizionali per l’economia russa: l’industria del gas naturale (più 10,6%), quella dei metalli ferrosi e non ferrosi (più 9,2%), quella chimica e farmaceutica (più 18,6%), quella metallurgica (più 8,7%). Un quadro di tipo “sovietico” che conferma, per l’ennesima volta, quanto sia lenta la transizione economica che vorrebbe affrancare la Russia dalla dipendenza dal settore energetico e minerario. Unica e parziale eccezione, lo sviluppo del settore assicurativo e finanziario con il suo più 9,7%. Più in generale, come sottolineato dai critici delle politiche del Cremlino, per il settimo anno consecutivo è stato mancato l’obiettivo più volte dichiarato come prioritario da Vladimir Putin: eguagliare o superare il tasso di crescita medio mondiale che nel 2018, per fare solo un esempio, è stato del 3,21% (quello russo, come già detto, del 2,5%).
Questo deludente risultato ha con ogni probabilità molto a che fare con la brusca liquidazione del governo Medvedev e con la formazione del governo guidato dal tecnocrate Mikhail Mishustin, ex capo del servizio fiscale della Federazione. Mishustin, molto apprezzato dagli ambienti liberali e liberisti del business russo, è la novità più clamorosa della nuova compagine, ma non l’unica sostanziosa. Anton Siluanov (diventato ministro delle Finanze e primo vice-premier nel 2011 dopo che il premier Medvedev aveva costretto alle dimissioni il suo predecessore Aleksej Kudrin, che aveva criticato l’investimento di 66 miliardi di dollari in spese per la difesa) conserva l’incarico ministeriale ma il nuovo vice-premier è ora Andrej Belousov, dal 2013 consigliere personale di Putin per gli affari economici.
Belousov rappresenta l’ala politica meno legata alle teorie di stabilità finanziaria, rigido controllo della spesa pubblica e severità fiscale in auge con Siluanov. E come lui è Maksim Reshetnikov, il quarantenne ex governatore di Perm appena nominato ministro dell’Economia. In altre parole, è possibile che Putin, in un quadro di relativa stabilità economica, voglia imprimere all’economia russa un boost in direzione di maggiori consumi, nella speranza di promuovere una crescita più rapida e vigorosa. Anche per questo, nel famoso discorso del 15 gennaio sullo stato della nazione e sulla riforma costituzionale, il presidente ha annunciato un piano di spesa pubblica da 7,3 miliardi di dollari basato su maggiori incentivi economici alle neo-mamme. E sempre nel campo della spesa pubblica, nella stessa occasione Putin ha sottolineato la necessità di implementare il programma dei Progetti Nazionali, un vasto piano di investimenti nei più disparati settori (dall’ambiente all’informatica, dall’edilizia ai trasporti) che dovrebbe modernizzare la Russia e smuovere l’economia, con investimenti da 800 miliardi di dollari entro il 2024.
Se davvero il governo russo deciderà di avviarsi sulla strada della spesa, potrà disporre di una leva ulteriore: i 125 miliardi di dollari che sono stati accantonati nel Fondo di stabilizzazione, frutto in gran parte degli introiti di gas e petrolio. In ogni caso, la prospettiva è risultata gradita agli analisti, che accreditano ora la Russia di un tasso di crescita, per il 2020, vicino o pari al 2%.
Perché una cosa su tutte era chiara: mentre il prestigio personale di Putin rimaneva alto presso gli elettori russi, quello del governo era ormai ai minimi termini. Putin conserverà a lungo il Cremlino, questo sembra chiaro. Ma se vuole impedire che le proteste della minoranza si saldino con l’insoddisfazione della maggioranza, deve far sì che le cose cambino.